L’Ave regina caelorum è un’antifona mariana composta da Isabella Leonarda nel XVII secolo. Suor Isabella era una monaca compositrice, Madre badessa del collegio di Sant’Orsola di Novara, molto conosciuta nella regione nel 1600; pubblicò circa 200 composizioni sacre non solamente per coro, ma anche strumentali. Il Beatus vir RV 598 è un salmo intonato da Antonio Vivaldi nel 1700 per farlo eseguire alle allieve del Conservatorio della Pietà di Venezia, compagine tutta femminile che aveva raggiunto un ottimo grado di notorietà in tutti gli ambienti culturali europei dell’epoca. La particolarità di entrambi i brani riguarda la diversità esistente tra la modalità compositiva e la prassi esecutiva: ci troviamo infatti davanti ad una scrittura corale tradizionale nelle 4 voci miste con basso continuo, ma la prassi del tempo – testimoni ne sono le cronache coeve – ci comunica che le composizioni erano destinate a ensemble vocali femminili. Effettivamente l’estensione della linea melodica del tenore è contenuta, e questo ne permette l’esecuzione con voci femminili contralti gravi. Di contro la linea del basso può essere ribaltata e cantata all’ottava da voci femminili di mezzo-soprano.
Il programma si concentra su una composizione iconica del periodo Barocco scritta da Giovan Battista Pergolesi lo Stabat mater. La convinzione che Pergolesi ricevette la commissione dai Cavalieri della Vergine dei dolori della Confraternita di San Luigi a Palazzo merita delle precisazioni e i recenti studi indicano che verosimilmente l’opera fu commissionata da Marzio Carafa duca di Maddaloni quando, nel 1734, Pergolesi era suo servizio. La tradizionale devozione della famiglia Carafa alla Vergine dei Sette Dolori e il legame di lunga data con la Confraternita di San Luigi al Palazzo ci porta a pensare che fu Don Marzio a licenziare il dovuto al giovanissimo compositore. Inoltre, la Gazzetta di Napoli testimonia, che per la ricorrenza della festa della Vergine dei Sette Dolori, almeno tra il 1709 e il 1739, a farsi carico delle spese per la musica furono i Carafa di Maddaloni.
La composizione era diventata un best seller e a sostegno di quanto si scrive sono i numerosi testimoni pervenuti della composizione (l’autografo è conservato presso la Biblioteca dell’Abbazia di Montecassino). Alcuni compositori proposero dei riadattamenti o delle parodie,
come Joseph Eybler maestro di cappella a Vienna, o Johan Sebastian Bach che propose una versione dal titolo Tilge, Höchster, meine Sünden (BWV 1083), o Giovanni Paisiello e molte altre adespote come la versione settecentesca per due voci e accompagnamento dell’organo che ascolteremo conservata presso la biblioteca benedettina di Einsiedeln (Svizzera), pubblicata a Parigi da Auguste le Dus & Co. databile 1799. Probabilmente la composizione aveva raggiunto un tale grado di popolarità che veniva eseguita con organici più agili quindi con un impegno economico più sostenibile anche per le piccole comunità. L’attuale lettura privilegia una interpretazione più teatrale del brano e inserire nell’organico anche l’ensemble vocale femminile, a rinforzo delle linee melodiche più intense, allarga la prospettiva architettonica musicale ad una drammaticità più evidente, pur sempre inserita nella estetica tardo-barocca. Pergolesi, nelle strutture, risulta un compositore perfettamente inserito nella propria epoca: tipico ad esempio è l’utilizzo della contrapposizione delle forme e dei tempi nella successione dei vari numeri dell’opera, come in una suite. Ma nello stesso tempo la sua musica ci fa intravedere una sensibilità più moderna. L’apice di questa proiezione la possiamo ascoltare con molta evidenza nel penultimo numero dell’opera, Quando corpus morietur, in cui il pathos della composizione è costruito sulla linea del secondo violino ed è raddoppiata poi dal violino primo all’ingresso del canto: per sottolineare la narrazione ci basta seguire gli archi, mentre le due voci delle cantanti costituiscono il grido dissonante e disperato dell’anima alla ricerca di un appagamento. A ben vedere, contrariamente ad altre composizioni, non solo barocche ma anche di epoca classica (pensiamo alla Messa da Requiem di W.A.Mozart), il racconto del dolore non è funzionale alla certezza della salvezza, ma si ha la netta sensazione che sia fine a se stesso lasciandoci di fronte ad una domanda senza risposta. L’Amen finale, quasi un puro esercizio di stile, minimamente strutturale, è una conclusione dovuta alla estetica barocca ma che non modifica lo smarrimento che ci consegna l’ascolto dello Stabat Mater di Pergolesi, ancora, drammaticamente, moderno.
Annalisa Pellegrini
Isabella Leonarda (1620-1704)
Ave Regina Caelorum,
antifona mariana per coro e bc
Antonio Vivaldi (1678-1714)
Beatus Vir Salmo 111 RV 598
per canto, alto, coro e bc
Leonardo Leo (1694 – 1744)
A Solis Ortu
mottetto per canto, alto e tenor
Giovan Battista Pergolesi (1710-1736)
Stabat Mater
sequenza per soli, archi e bc
riduzione settecentesca con accompagnamento per organo (* soliste)
Ensemble vocale femminile
CANTORIA NOVA
Annalisa Pellegrini Direttore
cantus Irina Boulychkina*, Stefania Pambianchi,
Luisa Tarabochia, Laura Testa*
altus Camille Alves da Silva*, Cecilia Coletti
tenor Carla Chiarelli, Elena Manetti, Sofia Papadopoulos*
bassus Clivia Atturro, Gioia Gentile, Irene Moretti*
Angelo Bruzzese Organo